In scena al Teatro Duse di Bologna, dal 15 al 19 Marzo 2023
Già di per sé, entrare in un teatro è un momento mistico, in cui si percepisce un’aria di tensione (positiva, intendiamoci), frizzante, colma di pathos. Di solito, allo spegnimento delle luci di sala, lo spettatore prova sulla sua pelle un picco di agitazione, quasi come se fosse lui a dover salire sulla scena, creando, già da questo frangente, una connessione con l’attore e alimentando il fuoco che rende viva l’arte del teatro.
Entrare nel Duse di Bologna alla sera della terza replica dello Slava’s Snowshow, con una sala già piena della “neve” lanciata e lasciata cadere durante le serate precedenti, ha creato un moto di proiezione molto più diretto, veloce, immediato del pubblico, nel fantastico mondo del clown Slava Polunin e della sua compagnia. Veloce si, ma allo stesso tempo sembrava di stare su di un tappeto di velluto che si attorcigliava attorno ai sensi di ognuno degli spettatori, trascinati sulle ali della leggerezza, della felicità, ma anche un po’ della malinconia. Lo spettacolo contiene tutto questo: gioia, ricordi, fantasia, lacrime, sogno, realtà, ed ogni clown, servendosi della sua perizia tecnica dell’arte attoriale, cavalca le onde delle trovate scenografiche e figurative dello spettacolo.
Tra una trovata clownesca, una coreografia sotto un occhio di bue che segue l'attore, una pantomima giocata su temi prettamente materici come il disequilibrio, lo spazio o altri strettamente metafisici l'incomunicabilità e lo spaesamento, il senso di pericolo o di meraviglia, tra una scena corale e una “tirata” solitaria, la tentazione dello spettatore è quella di cercare di trovare una trama, una storia, che giustifichi il susseguirsi delle scene. La realtà è che questo è un processo già troppo cervellotico e ragionato: Slava's Snowshow è un'esperienza che va vissuta nel pieno dei sensi, lasciandosi andare alla percezione, all'incanto della visione e rispondere a questi stimoli con una risata, una lacrima o un sospiro. Insomma, non bisogna cercare di dargli un senso, ma guardare seduti, incollati alla poltrona (e garantisco che non serve alcuna forzatura) e guardare con occhi di bambino questo fantastico mondo al limite tra la soglia del reale e la dimensione onirica, senza per forza dover dare un senso e cercare di catalogare con riduttive etichette ciò che si para davanti agli occhi. Leggeri, senza pesi sul cuore, limitandoci a dire "oh!", e, per una volta, farci spiegare dai bambini come si fa, perché in questo, loro, sono bravissimi.
Daniele Facciolli