In scena al Teatro Duse il 30 dicembre 2023.
Che bello quando l’ironia e la comicità sono pensate, scritte, preparate con cura e non lasciate all’improvvisazione, che ormai si confonde con l’approssimazione. Questa comicità in tv trova sempre meno spazio (una volta per colpa dei tempi televisivi, pensavo; oggi forse potremmo dire che è colpa degli editori, leggi Rai e Mediaset). E quando parlo di comicità, ribadisco, parlo di quella vera, scritta, pensata, provata, da non confondersi con la simpatia del “tipo da bar” che racconta le barzellette tra un bicchiere di barbera e uno di champagne.
Gli Oblivion sono dei talenti, meritano molto più successo di quello che hanno (sebbene in città siano piuttosto popolari e al Duse abbiano avuto una standing ovation finale). Hanno iniziato anni fa con la musica, studiando il Quartetto Cetra e cose tipo “La biblioteca di Studio 1”, capolavori. Da lì si sono avventurati nel mare della parodia ottenendo parecchio successo su internet con i loro “Promessi sposi in 10 minuti”. Poi gag, spettacoli sempre più elaborati, fino a questo “Tuttorial” in cui mi sento di dire che gli Oblivion sono diventati maturi, sarà che hanno superato i 18 anni… Intanto per cominciare, sono diventati tutti polistrumentisti (percussioni, tastiere elettroniche, oltre alla classica chitarra) e poi, pur gestendo i tempi in moduli di breve durata (formato social potremmo dire), riescono a raggiungere vette di comicità altissime. Questo spettacolo in realtà con i social ha molto a che fare: qui loro immaginano che famosi personaggi storici siano influencer di oggi. Ed ecco i “Mu contro Pè” (Mussolini e Claretta Petacci) che smontano la retorica fascista inserendola nel linguaggio per l’infanzia; Galileo che “adesso abiura” sulle note di “T’appartengo” di Ambra (nell’originale: adesso giura); Manzoni che chiede consiglio su come rendere il suo romanzo più adatto ai social e alla fine ne esce una versione 2.0 del loro cavallo di battaglia “I promessi sposi in 10 minuti” di cui sopra. E alla fine, come detto, standing ovation meritatissima. Uno spettacolo di sapore molto europeo, anglosassone direi anche, che (almeno come format) non stonerebbe affatto nel West End londinese.
Carlo Magistretti